Conversazioni libere sui libri (miei e degli altri), il teatro, il cinema, l'arte e le idee
mercoledì 18 dicembre 2013
lunedì 16 dicembre 2013
Huayna Picchu
Da quassu’ lo
spettacolo mozzerebbe il fiato, se dopo la faticaccia ne avessi ancora. Sotto qualche straccio filamentoso di nuvola,
si vedono le terrazze in pietra dell’antica città Inca, il sentiero che zigzaga
nel verde della vallata, l’orrido che si strozza tra i crostoni di roccia e termina
nel letto del fiume.
Qualche metro sopra di
noi un vecchio peruviano é seduto su di un sassone. La pelle della faccia come
cuoio bruciato, le dita della mano destra che rattrappite grattano un
chitarrino. Dei ragazzi americani lo osservano e ridono, mentre mangiano dei
panini. Io non ho fame, sono troppo stanco per la salita e ho ancora in bocca
il sapore aspro delle foglie di coca che mi hanno aiutato a venir su. A dire il
vero, senza Guido non ce l’avrei fatta. Senza il suo incitamento ‘dai papà che
sei ancora in gamba !’, senza il richiamo alla vita che mi dava standomi
davanti col suo passo da giovane stambecco, lui. Io con la bocca spalancata a cercare aria e
le mani che afferravano ogni presa possibile per salire, ma insieme siamo arrivati fino alla cima del
Huayna Picchu. Gli ultimi metri (quanti? dieci? cento?) aggrappati alla roccia,
qualche appiglio naturale, senza protezione, schiacciati contro la montagna, strisciandoci
sopra e sentendone il graffio ruvido sulla pelle.
Adesso le nuvole si
sono alzate. Quassu’ sembra di essere sospesi sul nulla. Odore di umido, freddo
e Guido ha fame. Anch’io sento qualcosa che mi si muove in pancia, ma non é
fame. Dobbiamo scendere. Già, bisogna scendere adesso. Deglutisco e sento una
punta di amaro in
fondo alla gola. Paura? E’ Guido che me lo chiede, e per spronarmi
fa un paio di passi verso l’orrido. Poi si blocca. D’improvviso, come se avesse
cambiato idea. Gli prendo la mano.
Trema. E' mezzo congelato, dice, con il labbro inferiore che sembra paralizzato. Lo guardo dritto negli occhi e cerco di comunicargli la sicurezza che
non ho. Fa freddo, ma sento le goccioline di sudore che mi scendono dalla
fronte. Questo momento sa di sale e di freddo.
Non c’é problema, gli
dico. Devi tenere il peso sempre verso la montagna e scendere all’indietro piano
piano, tenendoti a tutti gli appigli che
trovi. Forza ! Io davanti e lui dietro, questa volta. La mia mano che si
tende verso la sua nei passaggi più difficili. La faccia schiacciata contro la montagna.
Ti entra nelle narici : odore di pietra, muschio e paura. Ogni passo il
rischio reale di cedere alla gravità che ci vorrebbe attirare nell’orrido. Sotto
c’é il Machu Picchu, ma non lo guardiamo, tutta la nostra attenzione é al
metro successivo, non c’é altro. Ogni passo il laccio delle nostre mani che ci
sostiene, gli sguardi che si cercano negli attimi di sosta. Sento che si affida
totalmente a me. Questo mi dà forza.
Più sotto, ritroviamo gli
scalini di pietra. Da qui in poi, é roba per umani, non per camosci. Ci sediamo
qualche istante a riprendere fiato. La bocca secca, le mani graffiate, gli
sguardi gioiosi. Ce l’abbiamo fatta, papà ! Si’, ce l’abbiamo fatta,
Guido. Ci scaldiamo in un abbraccio.
Siamo vivi, noi due,
insieme più di prima.
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