Oh mare nero, oh mare nero, oh mare ne
tu eri chiaro e trasparente come me
Quando, nei primi anni settanta, ascoltavo Lucio Battisti cantare il ritornello de La canzone del sole non capivo bene a quale nero alludesse. Iniziava con la declinazione dei colori dell’adoloscenza: le trecce bionde, gli occhi azzurri e poi... il problema era tutto in quel poi, e non per colpa delle calzette rosse ma a causa dell’inquinamento del mare, del suo intorbidirsi fino a diventare nero petrolio come metafora semplice e immediata della perdita dell’innocenza.
Ma ti ricordi l’acqua verde e noi
le rocce, bianco e il fondo
di che colore sono gli occhi tuoi
se me lo chiedi non rispondo
Così cantava Battisti, con la complicità di un ispirato Mogol, e noi ragazzi, nelle pigre domeniche di austerity, gli facevamo coro accompagnandoci con una chitarra scordata, senza renderci conto dell’epifania tragica di quel motivetto estivo:
Oh mare nero, oh mare nero, oh mare ne
tu eri chiaro e trasparente come me
Oggi, purtroppo, è chiaro a tutti a quale nero porti l'eccesso di bramosia e la mancanza di prudenza nello scavare come talpe il nostro sottosuolo, senza pensare alle conseguenze ultime. Ce l’hanno illustrato in modo apocalittico la BP e i recenti avvenimenti del Golfo del Messico.