venerdì 3 luglio 2009

Finale:un inedito balneare

Finale

Finale: è curioso iniziare il racconto con la parola che evoca l’opposto, la conclusione. Eppure, a Finale Ligure eravamo diretti insieme a tanti in quell’assolato fine settimana di fine Agosto, quasi alla fine dell’estate, quindi. E quel senso di finale marciava incolonnato lungo la fila di macchina dirette al mare. Bollino rosso, avevano detto al telegiornale del venerdì sera, più rosso del sole che stava tramontando dietro gli ultimi avamposti delle Alpi liguri, mentre sostavamo al casello invidiando quelli col Telepass che prima di noi avrebbero conquistato Finale, e allora sì, finalmente, il mare. Perché avessero chiamato Finale quella bella cittadina di mare che di definitivo non mostrava alcun segno, lì nel mezzo della costa di Ponente, era stato l’argomento della cena, dimenticato poi fino alla sera successiva.

Il sabato mattina eravamo stesi ai bagni Ondina, nell’alternanza di sdraio rossi e lettini blu, in uno schieramento a file regolari, ogni postazione segnata dall’ombrellone eretto a protezione della fanteria del turismo balneare.
Noi eravamo al 448, le tre cifre stampate su un talloncino bianco incollato sul fusto dell’ombrellone. In quarta fila, subito dietro il 348 e davanti al 548, un metro scarso di sabbia come corridoio di passaggio tra le file.
“Si avvisa la gentile clientela che alle 11 ci sarà la lezione di idro-bike in piscina. E’ stato trovato un bambino di circa tre anni, indossa un costumino giallo. I genitori sono pregati di recuperarlo in direzione, grazie.”
Di fronte a noi lo schermo piatto e monotono del mare, nella sua distesa azzurra che pareva quasi estranea al fragore degli eserciti in costume provvisoriamente accampati lì avanti, e il bagnino in canottiera rossa e calzoncini che, seduto sulla sua sedia rialzata, pareva un re che osservasse i suoi territori dall’alto del suo trono da campo.
In brevi tratti di cielo volavano i gabbiani sopra il mare e se ne sentivano gli striduli richiami, anche se in spiaggia si avventuravano solo dei grassi piccioni a beccare residui di focaccia.

Al 342 una donna sulla cinquantina si spalmava la crema, i capelli rossi raccolti in una fascia gialla e due seni che parevano più giovani del resto, come innestati sul torace, dove sobbalzavano coperti a fatica dal pezzo di sopra del bikini, di una taglia inferiore alla bisogna, “per prendere meglio il sole” diceva alla vicina d’ombrellone. Era concentrata nell’azione di spalmatura, si sollevava una tetta, la incremava sotto il costume, se la osservava e poi riprendeva ad accarezzarsela come fosse un animaletto accucciato su di lei, muovendo con leggerezza le dita con le unghie laccate di rosso.
Gli ombrelloni mossi dal vento che spirava di traverso, gli svolazzi blu liberi di muoversi alla brezza, parevano ballerine di twist che frullavano le gonne a ruota, e sotto frullavano le voci.

Pappa, nanna, cacca, palla, focaccia, sete, acqua, telefonino, sole, crema, spallina giù, secchiello, scotta!, ciabatte, schiena, abbassa, piange, fame, gelato, sporco, mare, bagnato, cambia, asciugamano, costume, ombra, dorme, telefonino, sigaretta, libro, spallina su, pancia, brucia, rosso, crema, segno, sveglio, fame, focaccia, sabbia, sputa, piange, pallone, gonfia, caldo, ombra, ninna, telefonino, nanna, dorme, giornale, sole, schiena, sigaretta, spallina giù, segno, crema, piange, pizza, telefonino, acqua, bagnato, togli, metti, sabbia, brucia, berretto, fame, sete, noia, sabbia, basta!, ombra, noia, cocco!

Cocco, cocco bello
canta il venditore
il campanello che richiama
un euro il pezzo, solo un euro
ciabattando sulla sabbia.

Nero come la scorza
del frutto che lui vende
un cesto e un secchio d’acqua
regge con le mani
l’afrore della sua pelle
tra il bianco delle creme

Mi diressi alla piscina per evitare la confusione della spiaggia, ma c’era il corso e non si poteva entrare solo per nuotare. Come potevo aver pensato che in una piscina si potesse andare solo per nuotare!
Tre donne, diverse per età, uguali nella goffaggine dei movimenti, mulinavano su pedali sommersi in piscina, come intente a macinare l’acqua di quel basso fondale. Una cicciona bionda, una magra sui trentacinque e una bambinetta dai capelli raccolti sulla nuca da una pinza gialla. Le molli mammelle della bionda, le spalle ossute della trentenne e il fermacapelli della ragazzina sobbalzavano al ritmo di una musica tecno che singhiozzava note scomposte, imitando l’impaccio e l’innaturalezza della loro pedalata invisibile. Forse era un difetto dell’impianto stereo a rendere quelle note incongrue e spezzate oppure la più appropriata colonna sonora dell’immobile movimento delle tre che insistevano a pestare i piedi sulle idro-bike completamente sommerse.
Dopo mezz’ora, mentre l’istruttore insisteva a incitarle col fischietto, le tre annaspavano nell’acqua con gesti disordinati, il busto fuori dall’acqua quasi per intero, la bocca spalancata alla ricerca dell’ossigeno consumato nello sforzo, come balene spiaggiate sulla riva.
“E’ stato smarrito un bambino di nome Marco, indossa un costumino rosso, chi lo trovasse è pregato di consegnarlo in direzione, grazie. Ricordiamo che alle tredici ci sarà la lezione di acqua-gym.”

I due ragazzi dell’ombrellone 458 li avevo chiamati i Colussi di Riace.
Gippi e Giuppi passavano la giornata ripetendo questa precisa sequenza di azioni: flessioni a terra / telefonata / pettorali sulla sdraio / bagno / biscottino / addominali su lettino /telefonata / quadricipiti / bicicletta in aria / biscottino / telefonata / corsetta leggera sulla spiaggia / bagno / telefonata / stretching con biscottino. Parevano due gemelli, ma non lo erano dato che telefonavano a due mamme diverse (mamma Rosaria e mamma Teresa), per il resto erano identici nel fisico asciutto e molto muscolato, l’abbronzatura omogenea e lucidata a olio, la parlata calabra, la mascella quadra, l’occhio scuro, il costumino ridotto e la passione smodata per la ginnastica e i biscotti Misura della Colussi.
Visti sdraiati erano due modelli culturisti, con i muscoli scolpiti su tutto il corpo, mentre in piedi perdevano un po’ data la statura che a mala pena superava il metro e mezzo.
Due statuette su Misura. I Colussi di Riace, appunto.

Verso mezzogiorno e mezzo ero un corpo morto in mezzo al mare.
Abbandonato al gioco ricorrente delle onde, cullato dalla semplice eppur sorprendente legge della fisica dei liquidi, già precisamente misurata con le chiare parole dell’ingegnoso greco nel terzo secolo a.c. e qui rinforzata dall’inorganico principio disciolto nel mare: “un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto… “ e dall’alto era arrivato quel richiamo, una voce lontana portata dal vento, un richiamo alla vita. Avevo alzato la testa e, mentre la gravità del corpo aveva lentamente avuto la meglio sulla spinta liquida riportandomi nell’equilibrio verticale, avvistai un veliero che solcava l’orizzonte, imprevisto e lontano. Pareva un miraggio e forse lo era, visto dalla striscia di litorale dove le ballerine non arrestavano il loro ondeggiare. Da dove ero io, invece, pareva una memoria bianca di tempi lontani che si perdeva oltre l’invisibile confine tra due tonalità di azzurro, il mare e il cielo.
Finale, per davvero.
Poco dopo, era svanito e io ero rimasto per lunghi minuti a osservare i mille piccoli soli che scintillavano sulla cresta delle onde, come tante lucciole di mare che popolavano la distesa fino all’orizzonte.
Nuotando a rana, feci ritorno a riva, ancora rimuginando di quel miraggio della calura marina. Tra le mani mi scorrevano gli strati superficiali più caldi mentre il martello dei piedi spingeva in acque più fredde.
Tornando alla mia ballerina mi resi conto che la numerazione dei posti spiaggia rappresentava lo scorrere all’indietro nel tempo degli antichi e mi sedetti stancamente sul mio lettino al 448 avanti mare (a.m), mentre poco più in là i Colussi di Riace si ungevano l’un l’altro.

A cena, l’albergatore ci spiegò l’origine del nome: anticamente il borgo si era chiamato ad Fines. Al tavolo vicino erano seduti due trentenni che palesavano un’abbronzatura da camionista. Uno dei due si era subito inserito nella discussione per spiegarci che secondo alcuni storici lungo il corso del fiume Pora che scorre proprio a Finale c’era il confine tra i Sabazi e gli Ingauni. Lì finivano i territori di un popolo e iniziavano quelli dell’altro. Ad Fines era terra di confine. Gli Ingauni avevano il loro centro maggiore ad Albenga ed erano stati alleati di Cartagine durante la seconda guerra punica, mentre i Sabazi erano di stanza a Savona. I Liguri erano temuti navigatori, continuò l’altro, tanto che i greci li bollarono con l'epiteto Thyrrenoi, cioè pirati e la più antica fra le figure femminili Liguri il cui nome fosse entrato a fare parte della storia era stata la strega ammaliatrice Circe. A quel punto declamò il passo delle Troiane di Euripide dove Cassandra recitava:“e non l'alpestre d'umane carni vorator Ciclope, né la ligura Circe, onde sembianza l'uomo assume di ciacco“. Per non fare figuracce nessuno di noi chiese il significato di quella parola che pareva impantanarsi già nel suono e lasciammo cadere la citazione.
I due che parevano camionisti in realtà erano due archeologi a Finale per lavoro. Erano in corso degli scavi. Ci dissero che poche aree italiane hanno fornito, come il Finalese, tante testimonianze delle diverse specie umane. Scoprimmo anche che nel paleolitico gli antenati dei liguri erano pezzi d’uomo alti anche due metri.
“ Come i bronzi di Riace!” si inserì l’albergatore che era tornato coi secondi e io non potei fare a meno di pensare ai due Colussi del 458 a.m.

Dopo cena facemmo una passeggiata sul lungo mare, il bollino rosso era già tramontato dietro il monte Caprazoppa e i bambini salivano e scendevano di continuo sullo scivolo gonfiabile.
Pensavo alle caverne di Finale popolate dai giganti qualche decina di migliaia di anni prima. Dove erano finiti? Alle nostre spalle i bagni Ondina erano immersi nel silenzio come un fortino in armistizio, le cinte chiuse col lucchetto per tenere fuori le truppe dei bagnanti. Le file rosse e blu ora erano perfette nella semplice geometria disegnata dai bagnini, con le ballerine di twist che riposavano aggrappate ai loro fusti e i lettini reclinati a godersi il fresco della sera.

La domenica mattina le ballerine erano di nuovo frenetiche nelle loro gonne bianche con i lembi blu che sbattevano al vento in uno scompiglio di vestiti e costumi appesi alle stecche.
La Circe, così ora chiamavo la rossa del 342, era da molti minuti intenta a ungersi le gambe con la crema, con la cellulite che tremolava a ogni passaggio delle mani.
Io tenevo gli occhi chiusi per proteggerli dalla sabbia alzata dai piedi dei bambini che correvano tra le strette corsie. Una mezza dozzina girava attorno al 346, sollevando un polverone che si spandeva fino ai 500 a.m. e anche più indietro.
Mi immersi in un libro, un classico dell’epica, forse addirittura l’Odissea, per cercare refrigerio dal caldo della sabbia che scottava i piedi e dopo poco navigavo al largo insieme al greco tra le pagine dell’Egeo, dove solo i gabbiani, e non certo pingui piccioni, incrociavano nel cielo che sapeva di sale e di destino piuttosto che di creme solari e avanzi di focaccia, e sentivo sbattere le vele e il sibilo delle onde sullo scafo di legno. “Vieni, vieni” mi sentivo chiamare, e alzai la testa dal libro per cercarle, le sirene del racconto, ma mi accorsi che non erano languide donne con la coda di pesce e nemmeno la bella Circe ammaliatrice, ma alcuni secoli più avanti tre o quattro mamme in reggiseno a pois e cuffietta a fiori richiamavano i figli verso riva, come sempre fanno le donne nel timore che il mare se li porti via.
Intanto, la Circe del 342 a.m. si era messa sugli occhi due fiocchi di cotone inumiditi e finalmente si era stesa per darsi totalmente al sole.
“Cocco, cocco bello!”


Cocco e borse Prada,
occhiali e collanine
massaggi e orologi
compaiono gridando
oppure silenziosi
furtivi tra le ballerine

Un crocchio di signore
stende veli e teli
cicalano di soldi
contratti marchiati sulla sabbia
dietro schiuma il mare
placido e ignorato

Cocco, cocco bello
canta il venditore
un punto nero ormai distante
l’Africa più vicina

Per sfuggire a questi riti litorali che cominciavano a venirmi a noia decisi di fare un’immersione. Maschera, boccaglio e pinne, ci mancava solo il fucilino per entrare in una canzone dei Vianella, ma l’uccisione non rientra tra i miei hobby e se proprio dovessi iniziare mi concentrerei su altri obiettivi. Comunque, niente pesci nel fondale sabbioso a poche decine di metri da riva, né tantomeno relitti di navi o anfore come avevo scioccamente sperato quando avevo visto affiorare dalla sabbia un oggetto misterioso. Dal colore bruno poteva essere un mezzo cocco conficcato sul fondale, ma cercando di sollevarlo mi accorsi che era attaccato a un oggetto più lungo.
Poi mi accorsi che era un corpo!
Era di schiena, con la testa affondata nella sabbia. Al tatto era freddo. Piccolo, un metro o poco più, forse un bambino. Marco! Il bambino che si era perso ai bagni, pensavo mentre cercavo di sollevarlo senza riuscirci, ma non indossava un costumino rosso, e poi questo era di colore, a meno che fosse molto abbronzato.
I due Colussi, in fase corsetta leggera sulla spiaggia, all’inizio avevano risposto ai miei scomposti richiami sbracciandosi per salutarmi, ma poi avevano capito e si erano tuffati in acqua per soccorrermi. Credendomi in difficoltà, uno mi aveva afferrato sotto le ascelle e l’altro stava prendendomi per le gambe, ma poi avevano capito che non ero io l’annegato e si erano immersi insieme a me per recuperare il corpo sul fondale.
Con non poca fatica e l’aiuto del bagnini, che nel frattempo era intervenuto, riuscimmo ad alzare e a trasportare Marco a riva. Non era il bambino smarrito, anzi non era affatto un bambino, ma ormai per me quella riproduzione bronzea di un uomo nudo si chiamava così.

La Circe, che aveva lasciato il suo lettino nel 342 a.m., continuava a girare attorno a Marco, mentre i due Colussi lo stavano ripulendo e un pubblico ammirato aveva fatto cerchio attorno a quel colosso in scala ridotta, come il bagnino insensatamente l’aveva definito. C’erano anche le balenottere spiaggiate, che fuori dall’acqua erano dotate delle gambe, e il venditore di cocco che offriva il suo frutto alla folla di curiosi.
“ Certo che è ben proporzionato” ripeteva la Circe come in trance davanti al bronzo. “Molto ben proporzionato” continuava con gli occhi puntati alla zona del corpo che gli altri uomini coprivano con un lembo di stoffa colorata e che invece Marco esibiva senza pudore.
Allora qualcuno fece riferimento alle diverse proporzioni dei Bronzi di Riace, che aveva visto di recente al Museo di Reggio Calabria, colossali nei loro quasi due metri di statura, tranne che nell’attributo sessuale insolitamente minuscolo.
“Si sa che noi piccoletti…” si era lasciato scappare Gippi e il gemello aveva rinforzato il concetto facendo ruotare indice e pollice della mano destra.
Poi, arrivarono a frotte fin dai 1000 a.m. e le storie si incrociarono in racconti dei greci naviganti, in dettagliati resoconti delle loro preferenze sessuali, in animate discussioni sul perché in Calabria si trovassero simili giganti mentre qui a Finale questo nanerottolo superdotato.
Giunsero poi i due archeologi in canottiera e allora vennero tirati in ballo ancora i Sabazi e gli Ingauni, che come tutti i Liguri erano pirati temutissimi dai Greci e forse quella statua faceva parte di un tesoro più cospicuo rapinato dagli Ingauni…
“Ma quali inganni, che state dicendo?, qui mi pare tutto chiaro” s’innervosì uno dei Colussi, non so se più se Giuppi o l’altro “ in Calabria la storia fu la Magna Grecia, grande appunto, mentre qui vi dovete accontentare di quest’ometto, la differenza è qui da vedere”.
“Hanno parlato i giganti!” si fece sotto il capo dei bagnini e uno degli archeologi ripetè quello che aveva detto la sera prima a cena, che proprio a Finale vissero giganti di due metri, mentre in Calabria, be’, bastava guardare loro due.
Degenerò in facili giochi di parole tra tirreni e terroni, colossi e colussi, bronzi e abbronzati.
Finì a cazzotti con la Circe che cercava di calmare gli uomini con ampi gesti delle braccia, tanto che mi aspettavo che li avrebbe trasformati in ciacchi e così avrei capito quel verso delle “Troiane”, ma l’incantesimo non riuscì e quel fine settimana finì in una rissa collettiva ai bagni Ondina di Finale.

2 commenti:

  1. Non c'è che dire, sei proprio bravo. E' delizioso questo spaccato di vita balneare.
    Cristiana

    RispondiElimina
  2. Grazie, Cristiana. Alla fine ce l'hai fatta a postare un commento!

    RispondiElimina