sabato 11 dicembre 2010

Il crepuscolo degli eroi

La nona ora della liturgia cristiana corrisponde alla preghiera di metà pomeriggio, alle 15 per esattezza.
In quest’ora di passaggio della giornata, Papa Wojtyla viene colpito sulle gambe da un meteorite di medie dimensioni. Il suo corpo, addobbato come per il Giubileo, è steso a terra, le mani tengono con fermezza l’asta di un crocefisso. Il Papa tiene gli occhi chiusi, una ruga gli corruga la fronte, ma nel complesso il suo viso è sereno, non pare quello di qualcuno che ha subito una tale condanna dal cielo, non sembra morto, ma solo sognante oppure concentrato in preghiera. Le sue vesti non sono lacerate dal grosso masso nero e nemmeno insanguinate, come se il meteorite fosse stato appoggiato con attenzione sul suo corpo già disteso. Dall’alto, un tamburino in tenera età, seduto in una nicchia con i piedi sospesi sulla scena, alterna la totale immobilità a un ritmo stentato e impreciso. Il tutto crea una situazione di tempo sospeso, dove si attende da un momento all’altro qualcuno che narri o canti la scena, oppure che innalzi un inno o un salmo, invece non succede nulla, solo l’iterazione infinita del battito irregolare del tamburino che non risveglia il Papa, sempre disteso a terra. Nessuno interviene per liberare il suo povero corpo intrappolato sotto il meteorite, un signore in divisa non lo lascia avvicinare da nessuno.



Non è una scena dell’ultimo film americano tratto dal solito mattone di Dan Brown che mette al centro dell’attenzione il Vaticano e i suoi misteri, ma la descrizione sommaria dell’opera di Cattelan in mostra al Palazzo Reale di Milano. La Nona ora, appunto, è il nome dell’installazione realizzata nell’inquietante Sala delle Cariatidi.

La cariatide è una scultura che rappresenta una figura femminile con funzione di elemento architettonico di sostegno utilizzato al posto di una colonna. L’aspetto affascinante della sala delle cariatidi è che l’intero palazzo subì gravi danni nella notte del 15 agosto 1943 quando la città venne colpita da un bombardamento inglese contro gli occupanti nazisti. In realtà non furono le bombe a colpire direttamente l'edificio, ma esso venne distrutto da un incendio scatenatosi nei vicini palazzi che intaccò il sottotetto della Sala delle Cariatidi, bruciandone l'orditura lignea e causando così il crollo delle grandi travi che nella loro caduta travolsero la volta, il ballatoio e spaccarono in più punti anche il pavimento.

Quindi, riassumendo, in una sala che è stata semidistrutta dalla guerra e dove le cariatidi non reggono più nulla in quanto mutilate, il Papa polacco, che ha sicuramente contribuito alla caduta dei regimi comunisti dell’est europeo e alla conseguente fine delle ideologie, viene bombardato da un meteorite nero senza però esserne a sua volta mutilato.

Nell’ora del meriggio della storia umana, la Nona ora, un uomo eroico resiste alle forze del male che nuovamente si scatenano sul mondo, mentre un tamburino maldestro annuncia qualcosa che non avviene. Il Papa è disperatamente solo, aggrappato alla sua fede, che però non modifica (più) la storia che si ripete violenta e uguale a se stessa. Come, nella realtà, avviene.

Questa è la mia personalissima interpretazione dell’opera di Cattelan, artista contemporaneo, provocatore per eccellenza. Davanti alla borsa di Milano, in piazza degli Affari, sempre Cattelan ha fatto erigere sopra un piedistallo marmoreo una gigantesca mano con le dita mozzate, tranne il medio. Uno sberleffo alla città degli affari oppure un saluto romano mozzato, quindi ridicolizzato, spento, svuotato? Lascio ad altri la risposta al quesito, in quanto non è tanto la provocazione a interessarmi quanto piuttosto il richiamo al crepuscolo degli eroi che io leggo in queste opere.

In questi giorni ho scovato un piccolo libro di grande valore. Si intitola La Tomba di Achille ed è stato scritto in modo elegante e raffinato dal filosofo e saggista francese Vincent Delecroix. L’autore mescola la memoria personale del suo eroe preferito da bambino con lo studio di tutte le incrostazioni che lo stesso ha subito nei secoli a seguito degli interventi di tutti gli scrittori che ne hanno fatto il centro di una narrazione: Ovidio, Orazio, Euripide, Racine, Goethe, Byron, Dante, Metastasio, Shakespear, Simone Weill... Senza essere distratto da tutto quell’affabulare di sé, Achille cammina imperterrito su una linea dritta, certo che non esista ritorno possibile.

Cito alla lettera un brano del libro, edito da excelsior 1881 e tradotto in un italiano ricco e poetico da Riccardo Bentsik. Identificando l’immortalità degli eroi nella serie delle vite successive di quanti ne hanno memoria o gli danno la parola nei loro scritti, scrive: Vi sono epoche che farfugliano e balbettano, stagioni dell’oblio, del buio, tempi in cui il mondo possiede piccoli occhi corrugati che rapidamente si annebbiano per un bagliore troppo accecante, tempi in cui il mondo è stanco di grandezza e sogna l’infinitamente piccolo, in cui ha altre preoccupazioni e altri amori, in cui la sua bocca sdentata non sa semplicemente più masticare una parola di greco, in cui le sue dita avide non sono capaci di afferrare senza rovinare ciò che toccano. Catalettici, dunque, gli eroi sprofondano in un sonno che pare di marmo, si lasciano affondare in un mare inerte, muiono per un certo tempo, il loro corpo che diventa preda dell’archeologia.

E’mia opinione che noi ci troviamo pienamente, soprattutto in Italia, in una di queste fasi di sonno e di oblio degli eroi. La sconfitta di ogni ideologia e la mediocrità dell’attuale economia capitalista, l’unico modello che ci è rimasto, sono fenomeni comuni a tutte le nazioni del mondo, che hanno portato alla mancanza del sogno e della speranza in un mondo migliore. Se non c’è speranza, non c’è eroe. Achille non corre più e si addormenta.

Nel nostro paese, c’è di più e di peggio. Qui persino russa e sputacchia mentre dorme.

Tralascio i commenti sui modelli eroici proposti nel paese: i vanitosi tronisti, le audaci veline e i potenti capocannonieri. Sorvolo pure sul colossale apparato militar-folcroristico con tanto di spettacoli equestri organizzato nella capitale per salutare il dittatore amico e sulle centinaia di ragazze immagine prezzolate per assistere alle improbabili lezioni di Corano di Gheddafi, tutto ciò mentre si negano i luoghi di culto a chi veramente vuole professare la stessa religione, salvo poi scacciarli se pregano nelle vie o sulle piazze.

C’è di più e di peggio.

I recenti avvenimenti ci mostrano il totale disinteresse o addirittura lo sberleffo verso i momenti fondanti della nostra nazione: il risorgimento e la resistenza. Il prossimo anno cade il 150° anniversario della nascita dell’Italia come regno unificato grazie agli sforzi congiunti di tanti italiani, ma alcuni dei politici al governo possono permettersi il lusso di schernire il tricolore e l’inno nazionale, e ritengono inutile celebrare questa importante ricorrenza, mentre celebrano improbabili riti celtici e adornano le scuole del paese con simboli che non hanno alcuna relazione con la nostra storia. La resistenza sulle montagne dei nostri padri e nonni che ha contribuito alla liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista viene irrisa da un revisionismo della storia che arriva a negarla come elemento fondante della Repubblica Italiana. Si vorrebbe ‘riconciliare’ la storia, ovvero riscriverla in modo da ricordare nello stesso modo le vittime dell’una e dell’altra parte. Alle vittime va il rispetto umano, ma la storia d’Italia e la sua costituzione repubblicana non vanno rifoderate con una copertina di plastica come se si trattassero di libri vecchi. Invece, in questa nuova repubblica della barzelletta e della battutaccia si continua a ridere e a deridere, e tutto ciò sembra normale, salvo poi riconciliare le posizioni cucinando la polenta in piazza, come se il governo si fosse trasformato in una cucina da campo e i suoi rappresentanti fossero gli sguatteri di un solo cuoco. Il primo chef, mostrando fieramente un nuovo copricapo per ogni evenienza, pretende di essere il migliore presidente del consiglio degli ultimi centocinquantanni, meglio quindi di Cavour, di Giolitti, di Parri, di De Gasperi e di tutti gli altri. E’ lui ad affermarlo e gli sguatteri fischiettano mentre spadellano la ricetta della giornata. Intanto, dalle nostre parti un sindaco si compra intere pagine di giornali per mostrarsi travestito da gladiatore romano, e si autocelebra in manifesti che annunciano la sua cittadina come Burqa-free. In Valsesia? Il Burqa? E chi l’hai mai visto? Sarebbe come se pretendesse di aver inventato la ricetta della polenta senza aggiunta di cous-cous.

D’altronde è anche vero che questi signori sono pubblicamente acclamati e suffragati dal consenso popolare, quindi sono i degni rappresentanti del declino di questo paese. Achille si fa tronfio delle donne che conquista grazie al suo potere e intanto gli sguatteri imbandiscono la polenta senza cous-cous nel suo palazzo e tutti gli invitati di corte ridono come matti. E’ una festa.

Intanto a Pompei crolla la Domus dei gladiatori, L’Aquila è ancora un cumulo di macerie e Napoli è sotto una montagna di rifiuti. Qui siamo ben oltre il crepuscolo degli eroi, siamo alla parodia dell’Iliade fatta da Franco e Ciccio. Non c’è niente che uccida più gli eroi di una smargiassa risata di corte.

Per la prossima opera di Cattelan, suggerisco all’artista questo tema: il presidente della repubblica Napolitano è steso a terra sotto un grosso sacco della spazzatura. Ha gli occhi chiusi, con una mano si tura il naso, con l’altra stringe a sé la costituzione italiana.

Lascio a voi decidere a chi somiglierebbe il piccolo e maldestro tamburino.

Nessun commento:

Posta un commento