Notte. Divani rossi.
Suonano Nick Cave. Un CD di Nick Cave: Nocturama forse, o quello prima.
Me ne sto sprofondato su uno dei divani
rossi, come se Nick fosse lì e cantasse
dal palco, invece ingombro di casse e scatoloni rovesciati e vuoto per il
resto. Un paio di coppie ballano, ma come si fa a ballare Nick Cave? Trascinano
i piedi sull’argento della pista, incespicando su mucci di sigarette e altra
spazzatura. Fuori una sirena continua a suonare per allarmare il proprietario
di una macchina che dorme oppure se ne fotte. Fumo una sigaretta via l’altra,
il posacenere ricolmo sul tavolino.
Mi lascio coccolare dal
piano sgocciolante di He wants you. Sì, è proprio Nocturama.
Possono essere le
quattro del mattino e al bar hanno finito la birra. Già finita la birra, come
se fosse normale che un bar di un fottuto dancing finisca la birra proprio
quando hai solo voglia di una birra gelata per chiudere la serata, una birra da
bere stravaccato sul divano magari davanti a una bella tipa fresca fresca che
ti sei rimorchiato poco prima. Macchè, niente birra e niente tipa, serata di
merda, solo Nick a spandere il buio della notte dentro il cervello, la sua voce
inarrivabile a cantare la notte che scivola
via senza fretta, Nick che canta Bring it on.
Due cretini si pestano
poco più in là, urlano come forsennati mentre altri cercano di dividerli. Hanno
espressioni feroci, gli occhi pesti di alcol e di rabbia, le mani che indicano
furiosamente quello che vorrebbero fare all’altro. Da lontano sono un po’ comici,
anche se dentro invidio il fuoco che li brucia in questo momento, la sana
furiosa rabbia che provano, la certezza di avere trovato la persona giusta da
odiare, la forza intima di avere sicuramente ragione: due cretini felici.
Passa la cameriera a
tirar su i bicchieri rimasti abbandonati vuoti sui tavolini. Neanche male: un
bel culo e gambe lunghe. Tento l’approccio, ma è commedia, so che non ha tempo,
è stanca e non vede l’ora di infilarsi nella sua macchina e scappare a casa.
Chissà in quanti l’hanno approcciata in
quest’ultima ora di persi ubriachi che cercano di giocarsi le ultime residue
chances di farsi una scopata in macchina prima di chiudere la serata, prima di
dichiarare che anche questa notte è andata, chiusa, e lasciare il passo ai
sogni, a quello che c’è dietro questa realtà e navigare il resto che rimane
della notte dentro i letti, nei sogni e negli incubi.
La vedo andarsene tra i
tavolini e i divani, evitare una mano che cerca di infilarsi sotto la sua
gonna, dribblare un ubriaco che le ciondola pericolosamente davanti, e
dirigersi poi dritta e veloce verso il retro del bar.
Nick ci da dentro forte
adesso: la chitarra gratta dentro la testa, il piano si perde dietro note
confuse, un organo hammond va per i fatti suoi, una ritmica furibonda va da
qualche altra parte, mentre la voce di
Nick è giù all’inferno. Qualche stronzo prova a ballare anche questo,
hai voglia a pestare i piedi e cercare di seguire il ritmo ubriaco di Nick,
devi esserci dentro forte e allora puoi riuscire a combinare qualcosa, entrare
in sintonia con questa diavoleria liquida che lui chiama canzone, ma che è solo
un distillato sonoro di birra, notte e poesia: Dead man in my bed.
Come fa a entrare la poesia in un posto come
questo? Come si fa anche solo a nominarla in mezzo a coglioni ciondolanti che
si fanno di extasy nell’angolo buio del locale? Come può girare qui in mezzo al
fumo e ai vassoi colmi di bicchieri vuoti e macchiati di rossetto da drogheria?
Eppure è struggente, dolce, lenta. Still in love : questa musica, questa poesia
che si muove piovendo giù dal soffitto viola, puntinato di faretti gialli.
Piove e bagna le nostre camicie sudate coi colletti rigidi e i polsini bianchi sporchi di birra, piove e
tiene ancora sveglie le nostre menti che ricevono questa fumosa meraviglia come
un tardo regalo ai nostri dedideri frustrati, alle nostre voglie represse, a
tutto quello che abbiamo immaginato e non è mai successo. Piove e sciacqua i
nostri volti sciupati dagli anni e dalla noia, piove e ci ricompensa per tutto
quello che non abbiamo avuto e per quello che non avremo mai.
Piove musica.
E piove ancora quando usciamo fuori: è ancora buio e la
pioggia fine quasi non si vede ma ci infradicia completamente nel breve
tragitto verso le macchine al posteggio. Una notte si sta spegnendo, un’altra
inutile notte. Cerco la macchina tra le poche rimaste nell’immenso spiazzo,
disegnato da righe bianche e grossi
numeri gialli. Mi muovo lentamente nella foresta di lampioni, la pioggia sembra
venir giù dagli alti steli illuminati. È quella giù in fondo, vicino al pick-up
blu. L’interno sa di fumo e di cuoio, il
volante è freddo e lucido: nero cerchio tra le mie mani, nero cerchio
che posso muovere di qua e di là.
Tra i fari delle altre macchine che escono sulla strada,
piove: gocce sottili che paiono d’argento filano veloci per cadere in tante
insieme sul parabrezza. Non ho voglia di azionare il tergicristallo, mi piace
osservare i disegni della pioggia sul vetro, mentre i fari e i lampioni
riflettono le gocce che continuano magicamente a cadere qui, proprio davanti a
me, sul parabrezza.
Infilo un CD di Nick
anche in macchina, non posso chiudere qui il discorso con lui, mi deve portare
a casa e raccontarmi la notte mentre la lasciamo correre sulla statale
debolmente illuminata. Canta Ship song, bastardo di un Nick!
Mi metto a piangere, non
c’è nessuna ragione, ma mi metto a piangere. Sono felice e triste. Struggente,
questa canzone è struggente. Ballo con la notte, con le macchine che mi
superano, con la strada che vola via, con la cameriera che non c’è stata, con
questo cerchio nero che muovo a sinistra e a destra, lentamente.
Nick e io procediamo
lentamente, senza fretta, sulla statale e seguiamo la linea bianca in mezzo
alla strada, lucida, continua, una striscia magica nella notte scura. Tra una
goccia e l’altra resco a vedere qualcosa
e il resto me lo dice Nick: dove sono le case, dov’è la strada, dove corre il
destino di questa serata autunnale, se mi porterà a casa o altrove.
I fari delle macchine che incrociamo si
disegnano sul parabrezza e poi scappano indietro, lasciando posto alla pioggia
che si è fatta più fitta. Accendo il tergicristallo, non ho intenzione di
chiudere così, non stasera.
Nick sta finendo
l’ultima canzone quando arrivo a casa : Babe, I’m on fire.
Salto fuori dalla
macchina e, scalciando in mezzo alle pozzanghere come un bambino, arrivo al
portone. Ci metto i soliti cinque minuti per imbroccare la chiave giusta e per
aprire la porta. Entro, mi asciugo persino le scarpe sullo zerbino, ed entro
definitivamente.
Niente luci, mi spoglio,
avanzo a tentoni, arrivo in camera da letto, getto i vestiti fradici da qualche
parte, accendo lo stereo, tiro fuori Nick dalla custodia di plastica rigida e
lui riparte.
Selvaggio ma docile,
intona la sua ninna-nanna : Nocturama, Wonderful life.
Notte, Nick e il mio letto.
Nessun commento:
Posta un commento