domenica 16 ottobre 2011

Notte e Nick


Notte. Divani rossi. Suonano Nick Cave. Un CD di Nick Cave: Nocturama forse, o quello prima.
Me ne sto sprofondato su uno dei divani rossi,  come se Nick fosse lì e cantasse dal palco, invece ingombro di casse e scatoloni rovesciati e vuoto per il resto. Un paio di coppie ballano, ma come si fa a ballare Nick Cave? Trascinano i piedi sull’argento della pista, incespicando su mucci di sigarette e altra spazzatura. Fuori una sirena continua a suonare per allarmare il proprietario di una macchina che dorme oppure se ne fotte. Fumo una sigaretta via l’altra, il posacenere ricolmo sul tavolino.
Mi lascio coccolare dal piano sgocciolante di He wants you. Sì, è proprio Nocturama.


Possono essere le quattro del mattino e al bar hanno finito la birra. Già finita la birra, come se fosse normale che un bar di un fottuto dancing finisca la birra proprio quando hai solo voglia di una birra gelata per chiudere la serata, una birra da bere stravaccato sul divano magari davanti a una bella tipa fresca fresca che ti sei rimorchiato poco prima. Macchè, niente birra e niente tipa, serata di merda, solo Nick a spandere il buio della notte dentro il cervello, la sua voce inarrivabile a cantare la notte che scivola  via senza fretta, Nick che canta Bring it on.
Due cretini si pestano poco più in là, urlano come forsennati mentre altri cercano di dividerli. Hanno espressioni feroci, gli occhi pesti di alcol e di rabbia, le mani che indicano furiosamente quello che vorrebbero fare all’altro. Da lontano sono un po’ comici, anche se dentro invidio il fuoco che li brucia in questo momento, la sana furiosa rabbia che provano, la certezza di avere trovato la persona giusta da odiare, la forza intima di avere sicuramente ragione: due cretini felici.
Passa la cameriera a tirar su i bicchieri rimasti abbandonati vuoti sui tavolini. Neanche male: un bel culo e gambe lunghe. Tento l’approccio, ma è commedia, so che non ha tempo, è stanca e non vede l’ora di infilarsi nella sua macchina e scappare a casa. Chissà in quanti l’hanno approcciata  in quest’ultima ora di persi ubriachi che cercano di giocarsi le ultime residue chances di farsi una scopata in macchina prima di chiudere la serata, prima di dichiarare che anche questa notte è andata, chiusa, e lasciare il passo ai sogni, a quello che c’è dietro questa realtà e navigare il resto che rimane della notte dentro i letti, nei sogni e negli incubi.
La vedo andarsene tra i tavolini e i divani, evitare una mano che cerca di infilarsi sotto la sua gonna, dribblare un ubriaco che le ciondola pericolosamente davanti, e dirigersi poi dritta e veloce verso il retro del bar.
Nick ci da dentro forte adesso: la chitarra gratta dentro la testa, il piano si perde dietro note confuse, un organo hammond va per i fatti suoi, una ritmica furibonda va da qualche altra parte, mentre la voce di  Nick è giù all’inferno. Qualche stronzo prova a ballare anche questo, hai voglia a pestare i piedi e cercare di seguire il ritmo ubriaco di Nick, devi esserci dentro forte e allora puoi riuscire a combinare qualcosa, entrare in sintonia con questa diavoleria liquida che lui chiama canzone, ma che è solo un distillato sonoro di birra, notte e poesia: Dead man in my bed.
Come fa a entrare la poesia in un posto come questo? Come si fa anche solo a nominarla in mezzo a coglioni ciondolanti che si fanno di extasy nell’angolo buio del locale? Come può girare qui in mezzo al fumo e ai vassoi colmi di bicchieri vuoti e macchiati di rossetto da drogheria?
Eppure  è struggente, dolce, lenta. Still in love : questa musica, questa poesia che si muove piovendo giù dal soffitto viola, puntinato di faretti gialli. Piove e bagna le nostre camicie sudate coi colletti rigidi  e i polsini bianchi sporchi di birra, piove e tiene ancora sveglie le nostre menti che ricevono questa fumosa meraviglia come un tardo regalo ai nostri dedideri frustrati, alle nostre voglie represse, a tutto quello che abbiamo immaginato e non è mai successo. Piove e sciacqua i nostri volti sciupati dagli anni e dalla noia, piove e ci ricompensa per tutto quello che non abbiamo avuto e per quello che non avremo mai.
Piove musica.
E piove ancora quando usciamo fuori: è ancora buio e la pioggia fine quasi non si vede ma ci infradicia completamente nel breve tragitto verso le macchine al posteggio. Una notte si sta spegnendo, un’altra inutile notte. Cerco la macchina tra le poche rimaste nell’immenso spiazzo, disegnato da righe bianche  e grossi numeri gialli. Mi muovo lentamente nella foresta di lampioni, la pioggia sembra venir giù dagli alti steli illuminati. È quella giù in fondo, vicino al pick-up blu. L’interno sa di fumo e di cuoio, il  volante è freddo e lucido: nero cerchio tra le mie mani, nero cerchio che posso muovere di qua e di là.
Tra i fari delle altre macchine che escono sulla strada, piove: gocce sottili che paiono d’argento filano veloci per cadere in tante insieme sul parabrezza. Non ho voglia di azionare il tergicristallo, mi piace osservare i disegni della pioggia sul vetro, mentre i fari e i lampioni riflettono le gocce che continuano magicamente a cadere qui, proprio davanti a me, sul parabrezza.
Infilo un CD di Nick anche in macchina, non posso chiudere qui il discorso con lui, mi deve portare a casa e raccontarmi la notte mentre la lasciamo correre sulla statale debolmente illuminata. Canta Ship song, bastardo di un Nick!
Mi metto a piangere, non c’è nessuna ragione, ma mi metto a piangere. Sono felice e triste. Struggente, questa canzone è struggente. Ballo con la notte, con le macchine che mi superano, con la strada che vola via, con la cameriera che non c’è stata, con questo cerchio nero che muovo a sinistra e a destra, lentamente.
Nick e io procediamo lentamente, senza fretta, sulla statale e seguiamo la linea bianca in mezzo alla strada, lucida, continua, una striscia magica nella notte scura. Tra una goccia e l’altra resco a  vedere qualcosa e il resto me lo dice Nick: dove sono le case, dov’è la strada, dove corre il destino di questa serata autunnale, se mi porterà a casa o altrove.
I fari delle macchine che incrociamo si disegnano sul parabrezza e poi scappano indietro, lasciando posto alla pioggia che si è fatta più fitta. Accendo il tergicristallo, non ho intenzione di chiudere così, non stasera.
Nick sta finendo l’ultima canzone quando arrivo a casa : Babe, I’m on fire.
Salto fuori dalla macchina e, scalciando in mezzo alle pozzanghere come un bambino, arrivo al portone. Ci metto i soliti cinque minuti per imbroccare la chiave giusta e per aprire la porta. Entro, mi asciugo persino le scarpe sullo zerbino, ed entro definitivamente.
Niente luci, mi spoglio, avanzo a tentoni, arrivo in camera da letto, getto i vestiti fradici da qualche parte, accendo lo stereo, tiro fuori Nick dalla custodia di plastica rigida e lui riparte.
Selvaggio ma docile, intona la sua ninna-nanna : Nocturama, Wonderful life.
Notte, Nick e il mio letto.



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