lunedì 26 marzo 2012

Per ogni pidocchio cinque bastonate


Difficile per me fare una recensione fredda e obiettiva di questo libro di memorie di un internato nel campo di sterminio di Mauthausen. Difficile perché la stessa sorte tocco' a mio zio Clemente Musati. Lui, dopo anni di ricerche, fu dichiarato morto per polmonite nel sottocampo di Melk, della sua salma nessuna traccia. Come d'abitudine in quei lager nazisti era stata cremata.
Maris, che oggi ha 92 anni ed é stato un noto avvocato di Milano, invece riusci' a essere tra i pochi a fare ritorno dopo la liberazione. In questa sua memoria racconta la storia personale, a partire dalla sua adesione all'antifascismo milanese, alle botte e repressioni subite per quella scelta, alla sua decisione di intraprendere la carriera militare nell'esercito, i ricordi del fronte slavo dove capiva di combattere una guerra ingiusta contro i partigiani di Tito, il rientro con le sue truppe in Italia dopo l'8 Settembre, la decisione di entrare nella Resistenza, l'arresto, gli infiniti interrogatori e pestaggi subiti dai fascisti e dai nazisti, fino alla deportazione prima a Bolzano e infine a Mauthasen. Del lager racconta con il distacco che gli viene dai tanti anni trascorsi dalla prigionia, e quindi non é uno di quei libri che attanagliano le viscere e a tratti rendono quasi impossibile la lettura (come Se questo é un uomo di Primo Levi o Tu passerai per il camino di Vincenzo Papalettera). Ne escono firse gli aspetti più simbolici, un distillato freddo di quell'esperienza, e Maris preferisce attardarsi sugli episodi di amicizia e di fratellanza tra compagni di deportazione piuttosto che indugiare sulle rivoltanti tecniche di eliminazione di ogni forma di umanità perpetrate dalle SS e dai suoi carcerieri. Una lettura quindi per chi voglia capire cosa sia stato quel laboratorio di scientifica disumanità senza esserne sconvolti al punto di provare dolore fisisco nella lettura. Io, comunque, ho pianto. Consigliato ai giovani che vogliano capire che cosa sia stato il fascismo e il nazismo. Di questi tempi ce n'è bisogno, eccome!

venerdì 23 marzo 2012

Note per il discorso di commemorazione del comandante partigiano Attilio Musati


Commemorare  = ricordare insieme


Io non ricordo il cugino Attilio. L’uomo.

Non posso, l’hanno ammazzato 13 anni prima che io nascessi.

Posso immaginarlo, guardando la sua foto: un bel giovane con gli occhi buoni, lo sguardo sereno, il naso filante dei Musati, un abbozzo di sorriso, la barba incolta.

Posso ricordarlo con le parole di  Vincenzo Moscatelli, Cino: uomo coraggioso e temerario...

Con quelle di Pierino Rastelli, Pedar: Attilio era coraggioso e intelligente, sapeva perché bisognava combattere...

Con quelle di Aldo Aniasi, Iso: un valoroso comandante di distaccamento...
 

Ma l’uomo continua a sfuggirmi, a strisciare via dalle definizioni che in assenza di memoria personale paiono retoriche.
 

Aveva 26 anni, Attilio. Ne avrebbe 94 oggi. Gliene hanno portati via 68!


Attilio: Ucciso qui dalle raffiche di mitra, trascinato per un piede con un carretto dell’immondizia, il cadavere esposto in piazza Vittorio per 3 giorni con un cartello sul petto: bandito!


Proviamo a immaginare la scena mentre beviamo l’aperitivo al Roma o al Centrale.

3 giorni, mentre il suo corpo iniziava a decomporsi e nessuno poteva avvicinarlo per portargli un fiore. Cosi’ i fascisti trattavano i partigiani.


Uccidere non solo l’uomo, ma la dignità dell’uomo. La dignità di tutti gli uomini, perché ogni uomo e ogni donna é l’Uomo.

Oggi inorridiamo se un cane viene trattato cosi’!  Dovremmo dimenticare?


Ricordo anche mio zio Clemente, maresciallo pilota, arrestato dai fascisti, deportato prima nel campo di concentramento di Bolzano, poi consegnato ai tedeschi nel lager di Mauthausen, perché si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salo’. Disubbidi’, come altri 650,000 militari italiani che vennero internati nei lager. 40,000 di loro non fecero piu’ ritorno. Fra questi ultimi Clemente.



Disubbidire - non sottomettersi ai voleri altrui



Lui disubbidi’ e cosi’ non ho conosciuto nemmeno lui.

Chi li ha uccisi mi ha privato di un pezzo del mio passato, un pezzo della mia storia familiare, personale. Come se fossi monco di passato.

Loro, gli uccisi, mi hanno garantito un futuro di libertà e democrazia.

Mi hanno dato gambe lunghe per andare dritto e fiero nel futuro. E spalle larghe per tenere alta la testa di fronte a tutti.



Per meritarmi questo dono, per meritarci questo dono, proviamo insieme a riscostruire quel braccio che ci hanno tagliato. A ricostruire un pezzo di Attilio, a ricostruire un pezzo di Clemente.

E’ un impegno che mi prendo pubblicamente. Oggi, qui, di fronte a questa lapide.



Con loro due ricordo tutti i 500 valsesiani morti per resistere al fascismo e al nazismo.



I 45,000 partigiani uccisi in tutta Italia.

I 40,000 civili italiani deportati nei lager.



I disubbidienti, i resistenti.



Ricordo gli 11 milioni di morti nei lager: ebrei, slavi, zingari, testimoni di Geova, partigiani, oppositori politici, ex-militari, portatori di handicap e omosessuali: fucilati, massacrati, bruciati vivi, fatti esplodere, uccisi nelle camere a gas, con iniezioni di fenolo o di benzina, per fame e per sete, annegati, strangolati, impiccati, dissanguati, cremati vivi, irrorati per ore con acqua gelata, sbranati dai cani...



Ricordo coloro che hanno resistito.



Resistere - stare fermo, stare saldo, non retrocedere alla prepotenza, al sopruso, alla violenza del fascismo.



Disubbidire, resistere: sembra roba vecchia, finita nel dimenticatoio insieme alle vecchie divise dei partigiani intrise di sangue: stiamo in pace, tutti insieme, beati, tranquilli, cio’ che conta é che non ci siano buchi nelle strade, che venga asfaltato il sagrato delle chiese, che le case siano ridipinte, questa é democrazia!

Quella per cui hanno combattuto e sono morti 500 valsesiani? Quella di Varallo, medaglia d’oro della Resistenza?



Democrazia: governo del popolo, non di uno o di pochi, del popolo, di noi tutti.

Tutti hanno il diritto e il dovere di resistere, di disubbidire se é il caso o perlomeno di non accettare supinamente cio’ che non ritengono giusto.



C’é da arrossire al pensiero di cio’ che rischiamo noi, oggi, nel farlo, rispetto a quello che ha rischiato Attilio. Da vergognarsi a non farlo, per convenienza, assuefazione, cinismo, anestesia sociale.



Colmiamo i buchi, decoriamo le facciate, bene!, ma stiamo attenti a non asfaltare anche la memoria, stiamo attenti alle facce stuccate con lo smalto dei nuovi fascisti. Stiamo attenti a chi ci vuole raccontare che un morto non ha colore, é un morto e basta e tutti meritano lo stesso rispetto. Non asfaltiamo la storia, non sbianchiamo la coscienza.



Dietro le belle facciate delle case di Varallo come siamo, chi siamo, cosa siamo diventati, cosa vogliamo?



Vogliamo per esempio che a Varallo si candidi un fascista come sindaco? Vogliamo  che si dichiari pubblicamente sulle pagine dei giornali locali offeso perché discriminato in quanto fascista?  Discriminato in quanto fascista???



Ha ragione, non dobbiamo discriminare i fascisti.

Piuttosto vanno incriminati come prevede la legge 645 del 1952, reato di apologia del fascismo.



Esattamente un anno fa, un senatore del PdL ha presentato un disegno di legge per abolire questo reato. Il leghista Borghezio ha addirittura tenuto lezioni ai neofascisti francesi su come sbiancare la loro facciata per arrivare al potere.



Asfaltare le strade, decorare le facciate e annullare la memoria.



Anche questo é commemorare, ovvero ricordare insieme!



Commemorare, disubbidire e resistere per proteggere la nostra democrazia.



Grazie Attilio








venerdì 9 marzo 2012

Cugini di sangue

Oggi ho deciso che il mio prossimo lavoro sarà sulla resistenza in valsesia raccontata attraverso le vicende dei cugini Musati, partigiani, che hanno dato la vita per un'Italia libera dal fascismo. Cugini di sangue, titolo provvisorio.

Chiunque pensi di poter conribuire con fonti, documenti, testimonianze, memorie, ricordi, fotografie e quant'altro mi scriva a fabio_musati@yahoo.it

giovedì 1 marzo 2012

Il Malanno: la diagnosi di Dottor Zeno


Il pesciolino rosso per far contento il suo padrone si stava trasformando in un mostruoso pesce padano siluro a forza di nutrirsi delle alghe putride del fondo vasca, ma colpito da una crisi di rigetto vomita la bile verdastra. Poverino!

Murales di Zeno FC realizzato a Sesto San Giovanni