giovedì 22 novembre 2012

Partigiano Inverno di Giacomo Verri

Un canto epico sulla Resistenza in Valsesia, rivissuta attraverso i tre personaggi principali – un bambino, un professore in pensione, un giovane partigiano di indole romantica – che la vivono ciascuno a proprio modo e più nelle intenzioni che nella realtà. La Resistenza, quella vera, combattuta in venti lunghi mesi dai garibaldini di Moscatelli, compare poco in questo romanzo.


 E’ lo sfondo tratteggiato sul quale si disegnano le anime dei personaggi di fronte alla scelta che ogni italiano ha dovuto compiere dopo l’8 Settembre del 43. Scegliere per non essere scelti tra le file delle milizie della repubblichina, scegliere per non essere scelti per la deportazione in Germania, scegliere per non finire fucilati contro il muro di una chiesa, come successe ai dieci martiri di Borgosesia il 21 dicembre del 43. Proprio di quei primi ventun giorni del mese di dicembre narra Giacomo Verri nel suo romanzo d’esordio ‘Partigiano Inverno’, giorni che si dilatano fino a racchiudere simbolicamente tutto il lungo cammino della Resistenza ai nazifascisti, giorni che trasformano la quieta e pacifica valle del Sesia in un teatro di scontri, torture e fucilazioni. Verri, però, non racconta gli eventi, non narra i fatti. Piuttosto ci mostra l’incredulità della natura forte della valle – le montagne, gli alberi, i corsi d’acqua – di fronte a questo spettacolo di morte, che improvvisamente strappa il sipario del cielo. Lo fa con un linguaggio straordinario, lirico, epico, romantico che via via si ibrida di termini gergali, si sporca nel dialetto, tracima in arcaismi e neologismi che spesso paiono avere più una valenza fonetica che semantica. Straordinarie in questo senso le pagine che raccontano dell’eccidio di Borgosesia. Lì l’autore non trova nella lingua che conosce (e molto bene) la possibilità di mostrarci il teatro dell’assurdo e dell’orribile inscenato dalla Legione Tagliamento ai danni della popolazione del paese. Non può, non riesce, non basta. Allora Verri si arrampica sulle parole in allitterazioni onomatopeiche, sprofonda nelle pozzanghere torbide del dialettismo, blasfema nell'osceno presepe dove si muovono frastornati santi e madonne violate,  sporca la sua bella lingua con etimi che paiono sassate, calci, pugni in pancia. Lingua sconvolta, non più di umani, per descrivere fatti che andarono oltre l’umanità e fuori da ogni possibile ragione. Dei tre personaggi ho amato il bambino e compreso il professore. Meno mi ha colpito il giovane partigiano romantico, nota parzialmente fuori registro nel concerto ben diretto da Verri.  Partigiano Inverno non è una lettura facile e, ancor meno, l’opera adatta a chi voglia sapere com’è andata. Piuttosto ne racconta le emozioni, i turbamenti, il disgusto. E lo fa bene. Un ottimo esordio, a tratti sorprendente.