lunedì 6 giugno 2011

Semina il vento di Alessandro Perissinotto



di Alessandro Perissinotto, edizioni Piemme



Recensione di Fabio Musati



Diciamolo subito per rassicurare i lettori : questa tragedia, che inizia come una storia d’amore tra i boulevard parigini del quartiere multietnico di Belleville e termina invece nell’odio maturato in un tranquillo paesino nelle valli montane del Piemonte (Molini) è frutto della fantasia dell’autore.

Alessandro Perissinotto, docente all’Università di Torino e autore di molti romanzi noir e polizieschi, non ha però voluto fare questa convenzionale premessa al suo ultimo romanzo, intitolato Semina il Vento, editore Piemme.

Andiamo avanti. Ci chiederemo alla fine il perché.



Giacomo Musso, giovane maestro di origini piemontesi, a Parigi ha un impiego precario in un museo e organizza esposizioni temporanee per ragazzi. Per arrotondare, lavora anche come barista in un caffé teatro di Belleville. Lì conosce Shirin, “una ragazza laureata, raffinata, assolutamente parigina nei modi, orientale nel nome e nell’incarnato, mediterranea nei capelli corvini”. All’inizio “è solo una piccola distrazione nella routine delle comande e dei bicchieri”, ma poi se ne innamora e pazientemente riesce a vincere la sfida silenziosa col suo fidanzato precendente, un figlio di papà, artista mancato e spiantato. Shirin è nata a Parigi da genitori persiani che hanno lasciato il paese dopo la rivoluzione komheinista e lavora nel marketing di un’azienda multinazionale di abbigliamento sportivo. E’ una donna moderna e libera che non ha nulla in comune con la religione e la cultura mussulmana, verso la quale nutre un’avversione quasi eccessiva: “gli uomini le sembravano stupidi e crudeli, le donne ottuse e pusillanimi”



La loro è una storia d’amore che li porta in breve a vivere insieme e poi a sposarsi con rito civile. Entrambi trovano Parigi una città aperta e accogliente, ma quando alcuni vecchi amici di Molini, il paese natale di Giacomo, gli propongono di riaprire la scuola elementare del paesino in un progetto che prevede anche l’insegnamento del dialetto e lo studio delle tradizioni e della cultura locali, non hanno dubbi. A lei hanno appena proposto il trasferimento nella filiale di Milano della sua azienda, dove si dovrebbe recare per un solo giorno alla settimana e il resto del tempo potrebbe restare col marito al paese, lavorando tramite PC.

Tutti e due la sentono come l’opportunità di mettere (lei) e ritrovare (lui) radici: lei risistema la vecchia casa di famiglia Musso, riempiendola di vecchie stufe economiche e credenze che smalta di bianco, lui ridipinge, insieme ai vecchi amici, la scuola e allestisce persino un’aula d’informatica.

“Se volessimo rappresentare tutta la storia come un grafico, dovremmo disegnare una linea che sale constantemente” scrive in prigione Giacomo nella memoria per il suo avvocato: le lezioni del vecchio partigiano Pinin sull’emigrazione dei valligiani, Shirin che impara anche il dialetto, la corale del paese che l’accetta con entusiasmo. La giovane donna francese di origini persiane ha una bella voce, piace a tutti e non stona affatto nel costume tradizionale di Molini, specie quando canta l’inno valligiano nella chiesa di Badallo, il capoluogo della valle.



Poi, “la linea comincia a discendere, prima piano, con un’inclinazione modesta e del tutto tollerabile, poi in maniera più netta, fino a precipitare...”

A Giacomo viene affiancato un prete come insegnante di religione, perché “ la tua particolare esperienza e il tuo personale vissuto ti collocano un po’ lontano dalla possibilità di insegnare la religione ai nostri figli”. A Shirin viene chiesto di non partecipare più alla corale, perché il sindaco leghista di un altro paese della valle “ha detto che non vuole islamiche alla festa del suo paese”, poi sempre più giù fino all’incidente di per sé minimo ma che determina un punto di rottura oltre il quale non si può più andare: nelle piscine e sulle sponde del fiume di Badallo, un’ordinanza del sindaco Capodanno vieta di indossare il burkini (perché antiigienico e spaventa i bambini) e una donna mussulmana viene multata dai vigili. Shirin, che se ne stava tranquillamente in bikini sulla stessa spiaggetta, interviene prima per fare da interprete tra le forze dell’ordine e la donna che non parla italiano, poi per difenderla quando capisce l’intransigenza verso un costume che nemmeno lei approva ma che comunque non ritiene possa essere vietato. Capisce che la donna si vergognerebbe a toglierselo, ma nemmeno può permettersi di pagare una multa di cinquecento euro. Dopo un’animata discussione con i vigili che le chiedono a sua volta il permesso di soggiorno, Shirin si slaccia il reggiseno restando in topless come sfida al confuso senso della decenza di Badallo, e si becca anche lei una multa per atti osceni e gli insulti dei curiosi sopraggiunti nel frattempo.

“Sono davvero delicati i bambini italiani: il burkini li spaventa, il topless li sconvolge” dice, andandosene via irritata.

La notizia finisce sul giornale locale con tanto di foto delle due mussulmane, una nel castigato burkini, l’altra con le tette al vento, entrambe fuorilegge. E’ chiaro a tutti che siamo sempre nella finzione narrativa. Nessuna persona dotata di buon senso si sognerebbe di imporre simili divieti...



Da quel giorno, la moglie “araba” del molinese Musso diventa un problema. “E’ una di quelle che sposano un italiano per convenienza” secondo il sindaco Capodanno. In paese si comincia a risentire il vecchio proverbio “mogli e buoi dei paesi tuoi”, accomunate come merci da macelleria sentimentale.

“Come era possibile che la parigina laureata, raffinata, con un padre che aveva vissuto alla corte dello scià di Persia, fosse oggetto di ostracismo da parte di un manipolo di trogloditi che si riempivano la bocca con la parola tradizione?” si chiede Giacomo nella sua memoria.

La storia va avanti nella confusione tra nazionalità, etnia, razza, religione e appartenenza culturale, parole e concetti tritati e impastati nei discorsi in un polpettone indigesto che porta a respingere e a catalogare con un marchio semplice e veloce ciò che non si conosce: macelleria semantica.



Nel trevigiano alle recenti elezioni amministrative si è presentata la lista “Razza Piave” - e questo non è romanzo, ma l’esatto resoconto di certe realtà del profondo nord. In televisione ho visto un gruppetto di ragazzine con i loro giovani petti che spuntavano tronfi sotto le magliette rosse stampate Razza Piave, come una selezione doc di carni pregiate: macelleria politica.



Tornando al romanzo di Perissinotto, la straniera Shirin viene spinta dall’odio degli italiani a un inventato senso di appartenenza al mondo islamista, lei che quando discuteva di Islam con Giacomo sembrava una novella Oriana Fallaci. Lui si trincera nel silenzio e il tutto scivola rapidamente fino all’epilogo tragico che lasciamo scoprire al lettore.

L’ignoranza, la grettezza e la manipolazione politica trasformano l’amore in odio: questo ci racconta Perissinotto che, citando Marx, ricorda che “la storia si presenta sempre due volte, la prima volta in tragedia, la seconda in farsa”, ma la seconda può essere altrettanto pericolosa se non ci sono i giusti contrappesi della conoscenza e dell’ironia.

Sono con Perissinotto nel ritenere che sia compito dello scrittore anticipare i rischi di atteggiamenti che a un occhio distratto possono apparire solo folcloristici. Non è così. Ed ecco forse spiegato il motivo per cui l'autore non ha voluto precisare che questa non è una storia realmente accaduta. Non è avvenuta ancora nelle valli piemontesi e non avverrà mai se ci ripeteremo ogni giorno che: chi semina vento, raccoglie tempesta.

Se poi qualcuno ha sentito nel romanzo echi di cose vicine, ne tragga le sue personali conclusioni.

Fabio Musati, 6 Giugno 2011





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