“Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane, il mio è un po' di tempo che si chiama Libero”
Fabrizio De André, Amico fragile
Sono molti gli autori che hanno pagato un tributo alla “caninità”; da Omero a Jack London, da Tomasi di Lampedusa a Calvino, da Montale a Manganelli, da Pirandello a Primo Levi, e ancora Thomas Mann, Bulgakov, Rilke, Neruda, Kafka, H.P.Lovecraft, fino ai moderni come Stefano Benni, Daniel Pennac e Stephen King. L’amico dell’uomo rappresenta insomma uno degli architravi della nostra letteratura contemporanea.
L’Argo di Omero è il prototipo dell’amico fedele, il solo a riconoscere Ulisse, tornato finalmente nella sua Itaca, travestito da vecchio straccione.
Com'egli vide il suo signor più presso, / e, benchè tra que cenci, il riconobbe, / squassò la coda festeggiando, ed ambe / le orecchie che drizzate, avea da prima, / cader lasciò: ma incontro al suo signore / muover, siccome un dì, gli fu disdetto. / Ulisse riguardatolo, s'asterse / con man furtiva dalla guancia il pianto...
Ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, don Fabrizio, in punto di morte fa il bilancio della sua esistenza e ricorda i suoi cani: “Fufi, la grossa Mops della sua infanzia, Tom l’irruento barbone confidente e amico, gli occhi mansueti di Svelto, la balordaggine deliziosa di Bendicò, le zampe carezzevoli di Pop...”
Nelle letterature della crisi che si estende lungo il novecento, come scrive Andrea Giardina nel suo saggio Il viaggio interrotto: “l’immagine del cane fedele riattribuisce sensi (umani) alle cose. Trattare il tema del cane fedele e amico equivale a esprimere il desiderio di colmare un vuoto, di puntellare la propria solitudine con un’altra solitudine.”
Ne L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, la protagonista femminile Tereza arriva a una conclusione che a lei stessa appare blasfema, ma che non può negare, e cioè che l’amore che la lega al suo cane Karenin è migliore di quello che esiste tra lei e Tomàs. Migliore, non più grande. Perché l’amore per Karenin “è un amore disinteressato. Tereza non vuole niente da Karenin. Non vuole nemmeno l’amore. Non si è mai posta quelle domande che torturano le coppie umane: mi ama? Ha mai amato qualcuna più di me? Mi ama più di quanto lo ami io?”
Bulgakov rende l’animale protagonista in Cuore di cane e lo fa riflettere sul suo essere ‘schiavo’ dell’uomo, fatto che peraltro lo eleva rispetto alla condizione bestiale offrendogli degli innegabili privilegi: ...Il giorno seguente al cane fu messo un grosso collare scintillante. Lì per lì, guardandosi allo specchio, Pallino si sentì tristissimo, infilò la coda fra le zampe e si nascose in bagno, meditando sul sistema migliore per liberarsi del collare strofinandolo contro qualche baule o qualche cassa. Ma ben presto capì d'essere uno stupido. Zina lo condusse a passeggio al guinzaglio, lungo il vicolo Obuchov. Pallino si sentiva un galeotto, ardeva di vergogna, ma dopo aver percorso la Precistenka fino alla chiesa del Salvatore, capì perfettamente che cosa significhi un collare nella vita quotidiana. Negli occhi di tutti i cani che incontrava leggeva un'invidia sconfinata, e presso il vicolo Mertvyj, un bastardo, uno spilungone dalla coda mozza, gli abbaiò addosso una valanga d'insulti: gli diede del "venduto" e del "leccapiedi". Mentre stavano attraversando i binari del tram, la guardia lanciò un'occhiata al collare con aria soddisfatta e ossequiosa, ma il fatto più incredibile avvenne al ritorno: Fedor, il portiere, aprì di propria mano l'ingresso principale per far passare Pallino, mentre diceva a Zina: "che bella bestia si è trovato Filipp Filippovic! E quanta ciccia ha addosso!
L’altro versante della fedeltà è infatti la sottomissione.
Negli Improvvisi per macchina da scrivere, Giorgio Manganelli scrive:
I cani hanno cessato secoli or sono di essere animali (...) Il cane-animale, simpatico e fantasioso chiassone, non esiste più; al suo posto abbiamo questo strano prodotto non strettamente genetico delle inquietudini, dei disagi, dei malumori, degli estri, dei dispetti dell’uomo incivilito.
Ennio Vittorini propone in Uomini e no una tragica versione del legame uomo-cane: è quello che unisce il Capitano Clemm ai suoi tre cani lupo nel fosco clima dell’ultimo anno della seconda guerra mondiale. I cani vengono addestrati per uccidere. La loro natura è piegata al servizio degli obiettivi criminali dei nazisti.
“I cani non tradiscono sono sempre fedeli”
“Questo non è”, disse Figlio-di-Dio, “una buona qualità”
“No?” disse l’ufficiale
“No, capitano. Un uomo va bene, e il cane gli è fedele. Un uomo va male e il cane lo stesso gli è fedele”
In Se questo è un uomo di Primo Levi il cane diventa Cerbero, il custode infernale. Il cane è per Levi l’immagine dell’individuo solo, asservito, come gli aguzzini nazisti, a una legge a lui superiore, è cioè l’uomo privato della sua libertà.
Il cane che diventa mostro, reale o fantastico, è anche il soggetto di tante opere horror/fantasy come Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle, Il segugio di H.P Lovecraft o il racconto Cujo di Stephen King, dove, a causa di un morso di pipistrello, il cane è vittima di una lenta e dolorosa trasformazione che si manifesta in lancinanti dolori concentrati principalmente nella regione cerebrale, e che gli causa terribili allucinazioni che lo portano a vedere tutti come nemici.
Alberto Asor Rosa nel suo Storie di animali e altri viventi, fa dire alla sua Cana narratrice:
“Quel che io porto agli umani non è l’essere simili a loro: è piuttosto la zona d’ombra in cui non c’è né umano né animale, bensì le due cose confuse insieme.”
In altre parole, è ciò che evoca anche Pablo Neruda, nella poesia Ode al cane:
(...)
la vita che procede,
e l'antica amicizia,
la felicita'
d'essere cane e d'essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
e l'antica amicizia,
la felicita'
d'essere cane e d'essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
Che il cane sia compromesso al mondo degli uomini è chiaro a Franz Kafka che in Indagini di un cane ricapitola la vita di un contro-cane, che rinuncia alla sua caninità allontanandosi dal suo popolo in un percorso di ricerca sull’origine del cibo, chiedendosi se provenga dalla terra o dal cielo, finendo per digiunare e meditare sull’anima canina, e concludendo che:
“...fu questo istinto che mi fece apprezzare al di sopra di tutto la libertà! Eh, sì, la libertà che oggi è possibile è pochissima cosa. Ma nonostante tutto è la libertà, nonostante tutto è un possesso.”
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