Prima arriva il linguaggio: periodi cortissimi, quasi
una lista di pensieri veloci, niente articoli, verbi con una coniugazione ridottissima.
Grave ritardo mentale dice dottore
vestito da venditore di macchine usate.
E’ il flusso di pensiero della
protagonista, Mari, che gira un intero giorno per un grande centro commerciale.
A lei piace fotografare femmine con
polaroid… Mie polaroid é faccia di femmine
di mondo di cui non faccio parte, come faccia da modella di Lena, la
sorella cosi’ diversa da lei che deve incontrare quel giorno.
Spesso descrive per elenchi di
attributi : Suo padre é enorme grasso
maiale schifoso, puzzava di terra, sperma, metallo fuso, polvere di sparo,
cocaina e alcol… Madre magra scimmia con annebbiati occhi come serrature
strette e labbra grandi come gommoni.
Con quel linguaggio da ritardata mentale (ma io no ritardata, io solo rifiutato di
parlare bene) descrive e seziona il mondo che incontra con flash di
sorprendente poesia mischiata a genuina crudezza : Bambina cinese ha occhi chiusi come parentesi ingiù. Sorride mentre
guardo lei, succhia lecca lecca gigante. Di futuro lei succhia cosi’ cazzi.
Poi arriva il personaggio : Mari e Lena sono gemelle, due
metà di uno stesso nome, ma non potrebbero essere più diverse. Mari, capelli grigi, bocca sottile, alta, gigante
di molto peso, cicciona, lardosa, maiala, vacca, forme di corpo confuse con
ciccia. Io cesso di merda. Lena é madonna
strafiga, lei fata. A Lena dicevano che era bella, brava, aveva sempre
tanti uomini. Era la prediletta della madre, che si vestiva come lei. A Mari tiravano gavettoni con pipi’, escrementi
gatto. Tutti prende in giro me perché scema e brutta.
I luoghi,
percepiti sempre come estranei, eppure cosi’ precisamente descritti: Ingresso di centro commerciale sembra
cattedrale neogotica di san Patrizio. La gente sta entrando con disegno di miraggio di compere su faccia.
Mari vive in un istituto-prigione per ritardati mentali e le hanno trovato un lavoro da commessa in un supermercato. Mio lavoro brutto e squallido, ma io faccio. Per cash. Quello lo capisce bene, il cash é l’unico valore per tutti: gente no controlla più cose che fa, che dice, che mangia, che crede.
In letto-prigione ho
esatta percezione di strada con fermata di tram…Posso sentire distinti rumori,
voci, passi e mi vengono pensieri di uccidere.
Infine la storia: Mari, sacco
di patate, adesso é felice perché é diventata un killer seriale di donne
che assomigliano tutte alla sorella prediletta, quella che lei non vede da anni
se non su giornaletto di moda,
pornografia di perbene. Adesso ha un’identità, é temuta, e gode nel
torturare e ammazzare nei modi più fantasiosi le sue vittime, come faceva da
bambina con gatti, cani e conigli. Passa la giornata fotografando commesse e
acquirenti del centro commerciale, in attesa di incontrarsi con Lena. Fottutamente felice oggi perché ammazzo
donna puttana. Ma no puttana qualunque, lei é mia gemella Lena!
Teresa Verde con Twins ci dà una lezione di patetica
crudezza nel raccontare una storia drammatica. Entra nella testa di un folle
criminale e ci legge dentro, trovandoci grande umanità, riscatto, sofferenza ed
estetica del terrore. Lo fa con sapienza e stile, lo fa senza pietà. Picchiata con mazza, finché tagliato con rasoio suo corpo gonfio di
botte e lasciato sanguinare. Non c’é salvezza per nessuno se non la morte, della quale Mari
é severa dispensatrice. Non c’é per Lena, non c’é per Mari, anche nel loro
ultimo gioco di specchi.
Una prova convincente. Romanzo breve per palati forti, ma non di genere, a meno che vogliamo considerare la buona letteratura un genere.
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