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sabato 21 gennaio 2012
Nixon e il batterio
Voglio rispondere direttamente a chi in questi giorni ci sta dicendo che non capiscono la nostra ostinazione ad occuparci di quattro cartelli che sono lì da un paio d’anni, che sì, magari non sono eleganti e assolutamente inutili, che è una delle solite trovate sensazionalistiche del sindaco per farsi pubblicità, che non vanno presi sul serio e alla lettera perché intanto nessuno applica quei divieti. Infatti non risultano procedimenti a carico di nessuna donna mussulmana a volto coperto, di nessun ‘vu cumprà’ e di nessun mendicante.
“Quindi perché vi scaldate tanto?” ci dicono. “Non ci sono cose più importanti e gravi di questa?”
L’ultima domanda la liquido subito ricordando che quella è la tipica scusa al qualunquismo. C’ è sempre qualcosa più importante da fare e così non si fa mai niente. Invece noi ostinatamente ci vogliamo occupare di questa cosa. Altri, e noi stessi in altri momenti, si possono occupare d’altro.
“Perché ci occupiamo di quei quattro cartelli? Perché ci scaldiamo tanto?”
Proviamo a fare un passo indietro e verso ovest.
Stati uniti d’America 1972: Il 17 giugno Frank Wills, una guardia di sicurezza che lavorava al Watergate Hotel a Washington, nota un pezzo di nastro adesivo sulla porta fra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo. Lo rimuove, presumendo che l'abbia messo l'impresa di pulizia. Più tardi ritorna e scopre che il nastro è di nuovo al suo posto. Allora Wills contatta la polizia di Washington. Dopo le prime indagini, cinque uomini vengono scoperti ed arrestati per essere entrati nel quartier generale del Comitato nazionale democratico, la principale organizzazione per la campagna e la raccolta fondi del Partito democratico.
L’addetto stampa del presidente Nixon - Ron Ziegler - rigetta l'affare come un "furto di terz'ordine".
I reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, però sono ostinati e non si accontentano di questa lapidaria dichiarazione. Iniziano un'investigazione sullo scasso che porta, come tutti sanno all’impeachment di Nixon, ovvero alla sua messa in stato di accusa e alle sue successive dimissioni da presidente il 9 agosto 1974.
Tutto iniziò per un pezzo d’adesivo e per l’ostinazione di due reporter che sentivano che c’era qualcosa che non andava e volevano vederci chiaro. Se Frank Wills fosse stato meno attento o se, per evitare rogne, avesse fatto finta di niente e se i due reporter del Washington Post non fossero stati così scrupolosi, invadenti e ostinati, uno degli scandali più clamorosi della storia non sarebbe mai venuto alla luce.
“Perché vi ostinate così tanto?” lo dicevano anche a loro, ma quelli, niente, andarono avanti.
“ Ma quella è l’America, noi siamo a Varallo!”.
E’ vero, Varallo è ben distante dall’America, dal suo gigantismo, ben distanti dal sogno americano dell’uomo comune che può diventare presidente, ben lontano dalla possibilità che un presidente sia rimosso dall’incarico perché ha detto il falso, come successe anche a Bill Clinton.
Varallo è una graziosa cittadina perduta tra le montagne, capoluogo di una valle chiusa che ha non ha valichi e trafori. Chi viene in Valsesia, non può andare oltre, se non a piedi o con gli impianti di risalita per sciatori. Quindi se gli USA sono un elefante, Varallo può ambire al ruolo di pulce o meglio ancora a uno di quei microscopi organismi unicellulari, a un batterio per esempio, e lo stesso, come statura politica, si può dire del rapporto tra un Nixon o un Clinton comparati a un Buonanno.
Eppure, eppure… un batterio (un solo batterio) può infettare un corpo umano se questo non ha un sistema di difesa immunitario adeguato e non ricorre a specifici presidi medici, come i disinfettanti, gli antibiotici o i vaccini. Uno può avere un fisico da culturista e una salute di ferro, ma un batterio può ucciderlo.
Ora, restando nella metafora sanitaria e applicandola al nostro piccolo, insignificante caso (anche se quei cartelli sono ben più grandi di un pezzo di nastro adesivo), il sistema immunitario di Varallo è alquanto indebolito. Praticamente, non c’è opposizione al sindaco, al quale va riconosciuta l’estrema popolarità e il fatto di essere stato eletto - come lui ama ripetere - con l’81% di preferenze. Questa petizione non è contro il sindaco Buonanno, che certamente ha fatto e fa cose utili per la città e la valle, ma contro quei quattro mega cartelli che accolgono cittadini e visitatori a ogni ingresso. Li ha voluti lui, e quindi, vista la vulgata che lui fa tutto per il bene della città, va bene o comunque non fa male.
E’ qui che il batterio comincia ad agire.
Sottopelle, lentamente, progressivamente, provocando l’infezione del corpo sociale della città, una città dal consenso troppo unanime, dal pensiero troppo uniforme e che quindi non ha più una sua naturale difesa immunitaria che è quella del dialogo e anche dello scontro civile, quando occorre, tra le parti sociali e politiche.
“Ma di cosa state blaterando? Questa è una città tranquilla, che non vuole problemi. A casa nostra si fa come diciamo noi. Punto”
Il punto, che per fortuna non è ancora stato messo, è che una città che propaganda con clamore che i suoi ‘nemici’ sono le donne mussulmane a volto coperto, i vu cumprà e i mendicanti, quelli e non altri, quelli e non - a titolo di esempio - i fascisti, i razzisti, i mafiosi, i politici corrotti e gli evasori fiscali, una città così rischia di ammalarsi.
Questa malattia si chiama razzismo.
Quello quotidiano, implicito, sottopelle appunto, e quindi ancora più contagioso, infettivo. Finisce che gli abitanti di Varallo quei cartelli non li vedono più, entrano a far parte del paesaggio, come le montagne, il Sacro monte, le belle chiese, il cucuzzolo del monte rosa in cima alla valle. Rischiano di diventare parte integrante di quel corpo sociale, addirittura di diventare una malattia endemica, di quelle che sono incurabili in quanto stabilmente presenti in una popolazione di un territorio. Rischiano di entrare nel DNA di quel corpo e di diventare ereditarie.
Pensate ai bambini nati a Varallo in questi due anni. Cominciano adesso ad assorbire informazioni dall’ambiente ed è noto che le immagini, soprattutto quelle forti e gigantesche, colpiscono più di tanti discorsi e lezioni. Questi bambini, insieme al latte materno e alle prime pappe ingeriscono il pensiero ossessivo che i soggetti ritratti in quei quattro cartelli sono i nemici della città. Come possono difendersi se nessuno ne parla, se non c’è dibattito sulla cosa, se anche chi è contrario pensa e dice: “Perché vi ostinate tanto? Non ci sono cose più importanti di questa?”
Questi bambini crescono in un ambiente malato di razzismo sottopelle e sono proprio loro a essere i soggetti più esposti al contagio. Loro che hanno un sistema immunitario ancora debole.
Ci voleva un vaccino! Questa petizione sta facendo discutere, nel bene e nel male. Un primo importante obiettivo è stato raggiunto. Grazie a tutti di continuare a discuterne, nel bene e nel male.
Non c’è rimedio migliore al contagio.
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